Dilma-Marina

di Marco Consolo (http://marcoconsolo.altervista.org/)-In Ottobre si svolgono in America Latina tre importanti sfide elettorali. In Brasile (il 5), Bolivia (il 12), ed Uruguay (il 26) . Nel caso della Bolivia non c’è storia e, con una destra frammentata,  i pronostici sono di gran lunga favorevoli alla rielezione di Evo Morales al primo turno. Per quanto riguarda l’Uruguay i numeri dovrebbero favorire il Frente Amplio al governo, ma si teme per la maggioranza parlamentare.  Ma su questi due Paesi torneremo in un prossimo articolo.

Nel caso della Repubblica Federale del Brasile, a pochi giorni dal voto, la situazione è decisamente più complicata. Si tratta della scadenza elettorale più importante per il continente.  Nella settima economia mondiale, c’ è in gioco non solo la continuità dell’attuale governo di Dilma Roussef, che promette “più cambiamenti e più futuro”, ma anche il progetto di trasformazione iniziato nel 2002 con la vittoria di Lula. Ma il risultato elettorale avrà un impatto decisivo anche al di là della frontiera, a cominciare dal processo di integrazione dell’America Latina e dei Caraibi, ed il rafforzamento dell’alleanza tra Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, i cosiddetti BRICS, per la costruzione di un mondo multi-polare.

Come nel caso delle ultime elezioni in Cile, anche qui sono due donne a battersi con possibilità concrete per la presidenza del Paese-continente, con circa 200 milioni di abitanti. Anche nel gigante brasiliano sono due progetti-Paese che si scontrano nelle urne.

Da una parte Dilma Roussef,  la prima donna Presidente del Brasile, l’erede di Lula che cerca la rielezione come candidata del Partito dei Lavoratori (PT), un partito le cui  radici affondano negli anni delle lotte contro la dittatura civico-militare (1964 – 1984) e nelle battaglie sindacali di quel periodo. Dalla fine della sanguinosa dittatura, ci vollero 18 anni di transizione delle “democra-dure” neo-liberiste, perchè l’operaio e sindacalista metalmeccanico Lula vincesse le elezioni per la prima volta. E dal 2002 il PT è alla guida della variegata e contraddittoria coalizione di governo in cui detiene importanti ministeri, spesso sotto ricatto di una spuria maggioranza parlamentare.

Contro di lei  Marina Silva, ex-ministra dell’Ambiente di Lula. Militante del PT per più di 20 anni, ne uscì sbattendo la porta per contraddizioni insanabili. Nel 2010 si presenta con il Partito verde ottenendo il 19%, un buon risultato con quasi 20 milioni di voti, che però non le bastano per vincere. In seguito dà vita ad un proprio movimento, la “Rete della sostenibilità”,  che fino a poco tempo fa  godeva di scarso appoggio.

Lo scenario è cambiato radicalmente a partire dallo strano incidente aereo in cui è scomparso Eduardo Campos, allora candidato del Partito Socialista Brasiliano (PSB), fino a quel momento solo terzo nei sondaggi con il 9% (contro il 36% di Dilma). E Silva era la sua Vice, grazie all’accordo elettorale con il PSB.  Ma dopo  l’ incidente, e anche grazie all’”effetto tragedia”,  Marina Silva diventa la candidata alla presidenza del PSB. Oggi è  seconda nei sondaggi e minaccia un testa a testa con Dilma in un probabile secondo turno elettorale il 26 ottobre.

A molta distanza appare il terzo candidato, il senatore Aecio Neves del Partido della Socialdemocrazia Brasiliana (PSDB), erede politico dell’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso (1995-2002) e dei suoi governi neo-liberali. Un periodo ricordato per il disordine nei conti pubblici, i tassi di interesse stratosferici, l’inflazione a due numeri, i tentativi di privatizzare l’educazione lasciando fuori i poveri dalle università. Un Paese in s-vendita, sottomesso ai diktat del Fondo Monetario Internazionale. Ma fino all’incidente aereo di Campos, i pronostici davano il candidato del PSDB al secondo posto.

Dopo l’incidente e la scomparsa di Campos, e soprattutto dopo gli ultimi sondaggi che vedevano Marina Silva in crescita, la preoccupata sinistra si  è iniziata a mobilitare con più forza. In particolare il Partito Comunista del Brasile (PCdoB), interno alla coalizione fin dal primo governo Lula (con l’importante dicastero dello Sport), così come il PT.

Chi sta facendo una attivissima campagna elettorale è l’ ex-presidente Lula che gira in lungo e largo il Paese, dà interviste quotidiane, e insiste sulla necessità di una “riforma politica”, cavallo di battaglia della sinistra al governo. Una riforma basata innanzitutto sulla proibizione del finanziamento privato alla campagna elettorale dei partiti, “un delitto che non deve ammettere la possibilità di cauzione”. “Se bisogna radicalizzare, dobbiamo partire dalla moralizzazione della politica nel nostro Paese” ha detto Lula. “Ci vuole un referendum per approvare una Costituente” ha continuato, “ma i deputati che votano la riforma politica non possono essere candidati alle prossime elezioni”.

LA SORPRESA SILVA

Dopo la sconfitta del 2010, oggi Marina Silva ci prova di nuovo. Ex-ambientalista, evangelica, contraria all’aborto ed al matrimonio omosessuale,  sostiene a spada tratta l’assioma delle destre riguardo all’indipendenza della Banca Centrale. Così come la riduzione del ruolo delle banche pubbliche, un cambiamento nella politica estera, la revisione delle regole per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi del “Pré-sal”, scoperti da poco.   Il buon risultato del 2010, era dovuto anche al suo innegabile carisma, c’è chi dice quasi “messianico”. Per qualcuno appare quasi come una “salvezza” e grazie alla sua appartenenza ad una delle Chiese evangeliche più conservatrici del Paese  (l’Assemblea di Dio), può contare con l’appoggio di vasti settori religiosi che hanno una grande influenza in Brasile. E che hanno a disposizione un loro canale Tv che compete in ascolti direttamente con il gigante Tv Rete Globo.

DIMMI CON CHI VAI……

Alla testa della campagna presidenziale della sfidante Silva, c’è la sua amica Maria Alice Setúbal, esponente di spicco della familia che ha fondato e controlla la Banca Itaú,  la più grande banca privata del Paese, con una forte presenza in molti Paesi latino-americani.
Setúbal, che Silva chiama affettuosamente con il suo nomignolo “Neca”, ha dichiarato di avere ricevuto “diverse telefonate di imprenditori”  che hanno offerto denaro, e che un gruppo di economisti del settore finanziario appoggiano la campagna di Silva.

Setúbal cerca di vendere l’idea di una candidata per una “nuova politica”, con “un’idea più femminile del potere” lontano dallo “stile burocratico di Dilma”.

Ma nonostante l’appoggio della poderosa Banca Itaú, Silva sa bene che ha bisogno di ampliare la sua base elettorale per poter vincere le elezioni del prossimo 5 ottobre.

Manda così segnali di distensione sia al PT che al PSDB, i due principali partiti brasiliani. E lo fa per bocca del suo “guru” economico, Eduardo Giannetti da Fonseca. Ex direttore dei rapporti internazionali della potente Federazione Industriale di Sao Paulo, Giannetti da Fonseca sostiene con forza i tagli alla spesa pubblica. Per farlo, “ci piacerebbe molto portare nel governo gli eccellenti tecnici che ci sono nel PT en el PSDB, perchè la nostra idea è quella di governare con i migliori uomini della política e della gestione”  ha detto recentemente Giannetti. Insomma, un “governo tecnico” con chi ci sta, per superare le divisioni della politica.

I MOVIMENTI ALLA PROVA DEL VOTO

Oggi, il governo sta chiamando a discutere i movimenti sociali, le piattaforme programmatiche, le ONG, le reti organizzate, cosa che non avveniva nella prima metà dell’anno. E con qualche resistenza iniziano ad esprimere l’appoggio, seppur critico, alla rielezione di Dilma. Sul versante sindacale, è il caso della storica centrale CUT, ma anche dell’altra organizzazione dei lavoratori, la CTB vicina al PCdoB, (con una qualificata presenza nelle fabbriche FIAT).

Anche il “Movimento Sem Terra” (MST) e il “Movimento dei Senza Tetto” giustamente gelosi della propria autonomia, dopo una fase attendista, oggi stanno chiamando ad appoggiare Dilma. Sono movimenti che non hanno nessuna simpatia per Marina Silva, anche se paradossalmente lo scomparso Campos, come governatore dello Stato di Pernambuco, appoggiava il MST.

E dallo scorso Giugno, la Presidente Roussef con un decreto ha aperto lo spazio alla presenza dei movimenti ed al dialogo con il  governo, un decreto accolto favorevolmente dai movimenti più dinamici.  Una apertura che, viceversa,  ha prodotto la sollevazione dell’opposizione che l’ha accusata di essere “pro-chavista”, “neo-comunista”, “bolivariana”.

Non c’è dubbio che negli ultimi 12 anni, i governi di Lula e Dilma hanno portato avanti importante riforme sociali che hanno fatto uscire dalla povertà quasi  40 milioni di brasiliani, aumentato l’occupazione e i salari, migliorato l’offerta e la qualità dei servizi pubblici, ampliato la democrazia. Nonostante le accuse di assistenzialismo, si mantiene tra gli altri l’importante programma “Bolsa familia”, un sussidio a sostegno delle fasce piu povere e lo Stato continua ad essere soggetto importante di investimenti pubblici a tutto campo.

Ma non basta. Una volta ottenuta una certa sicurezza, la nuova “classe media” vuole di più, mentre quella tradizionale guarda con sospetto  i “nuovi arrivati” che chiedono una piu amplia  re-distribuzione della ricchezza.

Oggi Dilma cerca un secondo mandato, e cerca di sintonizzarsi con il sentimento popolare espresso in particolare nelle giornate di mobilitazione dello scorso giugno, che hanno visto la presenza massiccia di giovani nelle piazze del Paese, alla ricerca di visibilità internazionale grazie ai mondiali di calcio.  Oltre alla qualità ed al prezzo dei trasporti, al governo Dilma si chiede tra l’altro di approfondire le politiche sociali, una crescita economica inclusiva e sostenibile, la garanzia di accesso all’educazione di qualità come grande motore di trasformazione, una riforma agraria che ponga al centro i bisogni dei contadini senza terra e la sovranità alimentare e non gli interessi dei latifondisti e dell’”agro-business”.  Si chiede si cambiare la rotta di un “modello di estrattivismo selvaggio” che provoca ingenti danni ambientali ed alla salute e che in molti casi si scontra apertamente con i diritti dei popoli originari sulle loro terre, non ancora completamente demarcate e legalizzate.

Sulla carta, il programma del PT propone “un nuovo ciclo storico” che passa per la Riforma política, federativa, del sistema tributário, la riforma urbana e dei servizi pubblici (in particolare salute, sicurezza e risanamento urbano). I grandi movimenti sociali non fanno sconti e chiedono di rendere concreti i cambiamenti, per approfondire la democrazia, il benessere sociale, la sovranità sulle risorse nazionali.

E IL PROGRAMMA ?

Quel che è certo è che il dibattito è ancora polarizzato sulle persone, e poco sui diversi programmi, sul modello economico e la visione di società.

Sul versante economico, la contrazione della domanda cinese (primo partner commerciale del Brasile) ha rallentato la crescita, mentre alcuni economisti sostengono la tesi della “recessione tecnica”  in base ai risultati negativi degli ultimi due trimestri. Altri parlano di “stagnazione provvisoria”, come risultato dei recenti Mondiali di calcio. Durante le partite molti settori si sono praticamente fermati e quando giocava la nazionale brasiliana le festività hanno fatto cadere ulteriormente la produttività. Sono dati da relativizzare, anche se l’opposizione cerca di utilizzarli a suo favore per sostenere la tesi di una crisi profonda di cui l’unico responsabile è il governo che bisogna mandare a casa. Il dato concreto è che la popolazione sta affrontando un aumento dei prezzi dei prodotti della canasta familiare, in una spirale di cui non si vede ancora la fine. C’è insoddisfazione in alcuni settori poveri della società, con una critica ed un rifiuto crescente verso il governo, ma ancora non ci sono proposte alternative. In alcuni casi di corruzione nello stesso governo (relativamente meno del passato), si è lasciata agire la giustizia, senza che i dirigenti spiegassero diffusamente le misure da prendere, perchè non si ripetessero.

C’è poi un tema che conosciamo bene, quello della “memoria corta” o della “mancanza di memoria” tout court di alcuni settori. Ci si dimentica dei miglioramenti sostanziali negli ultimi 12 anni per quanto riguarda la casa, l’educazione, la salute. Non si parla della ridistribuzione dell’ingresso che ha favorito chi aveva meno. E’ mancata una azione pedagógica, di comunicazione di massa, con l’aggravante che Dilma non ha lo stesso carisma di Lula nei confronti dei settori poveri della popolazione. E dopo 12 anni di governo, si inizia a sentire un certo logorìo della  capacità propositiva del governo.

In campo internazionale, pur tra mille contraddizioni, il gigante Brasile ha difeso la sovranità nazionale ed ha avuto un ruolo chiave sullo scacchiere mondiale. Nel continente è il riferimento obbligato per i piani di integrazione regionale che non possono prescindere dal suo ruolo di potenza, anche rispetto ai Paesi BRICS, le principali potenze emergenti.

Viceversa Marina Silva, ha dichiarata la volontà di riavvicinarsi agli Stati Uniti, e di avere un ruolo più attivo nella “Alleanza del Pacifico”, la vera e propria spina nel fianco dell’integrazione continentale, vista come il fumo negli occhi dai governi progressisti dell’area.

Per molti settori dell’opposizione, ossessionati dai tre mandati successivi,  non importa chi vinca, l’importante è disfarsi di questo governo.

IL PARTITO DEI MASS-MEDIA

E ancora una volta, di fronte alla débâcle dei partiti della destra tradizionale, anche in Brasile come nel resto del continente, sono i grandi mezzi di comunicazione di massa che si sono trasformati in veri e propri partiti di opposizione. Tradizionalmente il “quarto potere”, oggi i media hanno fatto un salto di categoria e sono chiaramente uno dei fattori centrali del potere, con il compito di costruire la “realtà” politica e ideologica su scala planetaria.  Lo fanno, tra l’altro, omettendo le informazioni, distorcendole con obiettivi elettorali ed ideologici, quando non mentono spudoratamente. In Brasile si è visto chiaramente in occasione dei Mondiali di calcio con una campagna totalmente negativa, che scommetteva sull’incapacità del governo di realizzare l’evento sportivo. Lo si è visto anche in occasione delle mobilitazioni dello scorso giugno, attaccate all’inizio come “manifestazioni di vandali e teppisti”, per poi passare rapidamente all’appoggio aperto, cercando di cavalcarli, di influenzarne l’agenda in funzione anti-governo.

E nei tre mandati a disposizione, il governo non ha avuto il coraggio di affrontare la grande riforma del settore della comunicazione, per rompere i “latifondi mediatici” e cambiare le regole, come fatto in altri Paesi latino-americani (tra gli altri Argentina, Venezuela, Ecuador).  Oggi i grandi “gruppi mediatici”, i “colonnelli elettronici” brasiliani sono tutti all’opposizione e sparano ad alzo zero contro Dilma.

Allo stesso tempo, l’uragano politico provocato dalla carismatica evangelica, è visto con prudenza da diversi analisti, dato che Silva non dispone di una consistente struttura di partito per governare e che fino ad oggi l’unico appoggio chiaro è quello espresso dal settore finanziario.

Negli scampoli di questa campagna elettorale, gli “spin doctors” sono freneticamente al lavoro per disegnare una strategia di immagine vincente, almeno al secondo turno.

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