La morte di un patriota, di un combattente per la libertà, di un padre della Repubblica.

Rosario Bentivegna

Rosario Bentivegna

L’avevo incontrato la prima volta a metà degli anni ’70, durante una cerimonia commemorativa della Resistenza, a Centocelle. Poi, per vent’anni, non lo rividi più, da una parte perché la sua professione di medico lo aveva allontanato dalla scena delle commemorazioni e delle rievocazioni; dall’altra perché tra la metà dei ’70 e la metà dei ’90 il ricordo della Resistenza, e dei suoi uomini e donne – ma anche dei suoi valori e del ruolo da essa avuto nella nascita della Repubblica – si era pian piano affievolito, sommerso dalle bollicine della “Milano da bere” e dal roboante “edonismo reaganiano”. Ma, all’improvviso, nel 1994, la “discesa in campo” di un “uomo della Provvidenza” folgorato sulla via di Arcore e destinato a produrre il nuovo “miracolo italiano”, ebbe, tra le molte altre conseguenze, l’inizio di un forsennato revisionismo storico finalizzato a minimizzare, se non a sradicare, qualsiasi cordone ombelicale che ancora potesse, a distanza di 50 anni, legare la vita nazionale ai suoi fondamenti resistenziali. Cominciò così (per forza, per necessità!), per il più che settantenne Rosario Bentivegna, una nuova intensa attività fatta di incontri con i giovani nelle scuole, di conferenze, di nuove polemiche, di apparizioni televisive, di consulenze storiche, di nuove pubblicazioni (è del 2004 la nuova, riveduta e accresciuta edizione del suo classico “Achtung Banditen”, sulla storia della Resistenza romana), di nuovi processi; tutti processi invariabilmente vinti, così come aveva vinto quelli degli anni ’40, degli anni ’50, degli anni ’60.

Nella primavera del 1995, dunque, trovandomi a collaborare con l’amico Luciano Chiolli nella realizzazione di un film documentario (“Hanno combattuto per la libertà”) sulla Resistenza a Roma, e in particolare nella periferia est della Capitale, ebbi modo di rivedere Bentivegna, di accompagnarlo lungo le strade che furono teatro di azioni di Resistenza, di organizzare alcuni suoi incontri con i giovani, anche nella mia scuola, il liceo classico Benedetto da Norcia. Ripercorremmo quindi il Quadraro, Centocelle, Torpignattara, il Pigneto, Quarticciolo; rievocammo i nomi e le figure di molti partigiani suoi compagni nei GAP: Valerio Fiorentini, Luigi Forcella, Nino Franchellucci, Carla Capponi, Franco Bruni, Giordano Sangalli e tanti altri ancora. Andammo in pellegrinaggio, il 25 aprile del 1995, sul Monte Tancia, dove il 7 aprile del 1944 si era svolta una delle più furiose battaglia della Resistenza, tra un manipolo di eroici giovani partigiani e un intero reggimento di SS, e dove erano caduti i fratelli Bruni e il sedicenne Sangalli. Era con noi uno dei protagonisti di quella battaglia, Clemente Scifoni, quasi coetaneo di Bentivegna e ancora vivente, cittadino di Torpignattara, oggi come allora. Erano passati 50 anni dall’ultimo giorno, nell’estate del ’45, in cui si erano incontrati, finita la guerra, l’ultima volta; per una serie di circostanze, non si erano più rivisti per un lungo mezzo secolo.

Dal 1995, e fino al 2006, penso di avere incontrato Bentivegna almeno due o tre volte l’anno: nelle scuole, in manifestazioni celebrative del 25 aprile, più volte al Quadraro per le commemorazioni del rastrellamento del 17 aprile. In ogni occasione l’intervento di Bentivegna era il più atteso e quello che riscuoteva la maggiore attenzione. In ogni occasione Bentivegna sentiva il dovere di ribadire alcuni concetti che per lui (ma non solo per lui) erano fondamentali:

1)      l’azione di via Rasella del 23 marzo 1944 fu un’azione di guerra, condotta contro un nemico che, a Roma e non solo, si era reso responsabile di crimini insopportabili: stragi, deportazioni, rappresaglie contro la popolazione civile; un nemico che stava sistematicamente realizzando, in quegli anni, un orrendo olocausto; l’azione di via Rasella, come molte altre a Roma, era stata organizzata sulla base di una precisa richiesta degli Alleati, bloccati a Cassino e ad Anzio: bisognava non dare respiro ai tedeschi e boicottare e sabotare tutti i flussi di rifornimenti verso Cassino ed Anzio;

2)      la rappresaglia delle Fosse Ardeatine era stata immediata: in 24 ore erano stati raccolti, da Kappler e Priebke, 335 prigionieri antifascisti per essere immolati nelle cave di pozzolana sull’Ardeatina; solo la mattina del 25 marzo, a strage ormai avvenuta, ne era stata data notizia con un comunicato (Vedi il libro di Portelli “L’ordine è già stato eseguito”). Se il movimento partigiano romano, aggiungeva Bentivegna, avesse saputo delle intenzioni dei tedeschi, avrebbe sicuramente dato l’assalto al Comando tedesco, anche a costo di rimanere tutti uccisi. La leggenda del manifesto, affisso dai tedeschi, che invitava i responsabili dell’azione di via Rasella a presentarsi per evitare la strage è, appunto, solo una leggenda, priva del tutto di fondamento;

3)      la Resistenza a Roma è stata una grande Resistenza, che ha lasciato sul terreno circa 2.000 combattenti, caduti per la libertà di tutti gli italiani, anche di quelli che la libertà non la volevano, anche di quelli che si sono schierati con i nazisti;

4)      della Resistenza romana una parte cospicua, la maggior parte, fu quella combattuta per le strade della periferia, nei quartieri operai e popolari; fu inoltre una Resistenza unitaria, sia sul piano sociale, sia sul piano politico: i partigiani (Bentivegna preferiva, a questa parola, un’altra: “patrioti”) appartenevano alle più varie correnti politiche: democristiani, socialisti, comunisti, azionisti, di Bandiera Rossa, ma anche liberali e badogliani, così come molti militari che avevano giurato fedeltà al Re.

Questi erano i concetti che Bentivegna ripeteva, con ostinazione e senza lasciarsi intimidire, con chiarezza e con orgoglio, in tutti i suoi interventi. Concetti che possono essere riassunti in una sola espressione: “La Resistenza, oltre ad avere restituito l’onore all’Italia dopo il ventennio fascista, ha partorito la Repubblica, la sua Costituzione, la democrazia”. Ora, siccome la Resistenza non fu un’idea platonica, ma un movimento reale che accomunò la parte migliore della gioventù del Paese tra il 1943 e il 1945, dobbiamo rendere onore a quella gioventù – della quale Rosario Bentivegna fu uno degli elementi più importanti e coraggiosi – a quella gioventù alla quale dobbiamo, ancora oggi, la nostra libertà.
Francesco Sirleto 

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