La tragicità della pandemia ha sollevato dubbi e riflessioni, ha messo in

evidenza errori e contraddizioni, ha meglio demarcato la linea tra “buoni” e “cattivi”.

Una cosa a nostro avviso è sfuggita, o meglio, non è stata evidenziata con la giusta veemenza: abbiamo avuto la prova, se ce ne fosse stato bisogno, dell’asservimento del potere politico a quello economico e militare. Se nella controversia nello stabilire quali delle attività produttive fossero indispensabili, potevano tentare di farci fessi, c’è un caso dove la verità è palese: quello dell’industria bellica. Ma veramente vogliono farci credere che le industrie “aerospaziali e della difesa” rientrano tra quelle indispensabili?

Dinnanzi a questa prova, possiamo, forse, denunciare, questa volta con più speranza di essere ascoltati, quanto da anni andiamo sostenendo insieme ad altre piccole frange della sinistra e dei movimenti per la pace.

La spesa sanitaria in 10 anni è stata definanziata per 37 miliardi di euro, la spesa sanitaria si è ridotta dal 7% al del Pil al 6,5 mentre la spesa

militare è cresciuta dell’1,5 del 2006 e dell’1,43 previsto per il 2020 pari a 26 miliardi.

In questo modo noi ci dovremo “allineare” alla richiesta degli USA, nell’ultima riunione della Nato, di raggiungere il 2% del Pil. E questo

davanti alla “minaccia di Russia e Cina”, che sono coloro che durante la pandemia si sono dimostrati solidali e sono tra di noi a combattere il

Covid-19.

La parola “crisi” deriva dal greco Krisis , passaggio, scelta, dal verbo Krino distinguere: ebbene ci auguriamo che questa crisi ci porti ad un nuovo

modo di pensare in cui meglio si distinguano le priorità e diverse siano le scelte. Che si scelga di convertire i 68 milioni di euro al giorno di spese

militari in nuovi posti letto, in nuovi respiratori, in nuove risonanze.

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